Lungi dal rappresentare un beneficio solo per il pubblico consumer, l’Internet delle Cose sta rivoluzionando il modo di approcciare la produttività. Oggetti finora inanimati, grazie alle innovazioni tecnologiche, hanno imparato a ricevere e trasmettere dati in rete, relazionandosi con l’ambiente circostante per dar vita a un ecosistema smart. Se questo è vero negli ambiti privati, come case e uffici, lo è ancora di più in spazi più ampi, normalmente dedicati alla manutenzione degli impianti. È in questo modo che nascono i cosiddetti “connected assets”, beni e strumenti che vengono utilizzati per produrre e offrire servizi in grado di monitorare e rispondere alle necessità interne ed esterne di un contesto, vettori intelligenti e autonomi, che vanno al di là delle semplici funzioni dei sensori digitali, abilitando un’azienda alla fruizione di analisi predittive in tempo reale, così da attivare operazioni automatiche che non necessitano di un input umano.
Si tratta di metodi innovativi che hanno il vantaggio di poter migliorare concretamente l’ambito della manutenzione, portando su un nuovo livello i tre soggetti che entrano in gioco nello specifico campo di riferimento: chi produce gli asset, i service provider e il cliente finale. Tramite i connected assets, chi realizza macchinari e veicoli per il business può pensare a nuovi servizi manutentivi, resi possibili dalle rinnovate capacità computazionali degli oggetti. Inoltre, arriva a realizzare prodotti più affidabili, con ridotti costi di gestione e un elevato grado di garanzia.
Dal canto suo, il provider si assicura l’opportunità di intervenire in caso di necessità direttamente sul punto prescelto della catena, senza il rischio di indebolire e rallentare le altre parti. Inoltre, il cliente finale può accorgersi di come sia migliorata l’esperienza di maintenance, godendo di uno sforzo economico ridotto (con un’evidente ottimizzazione delle voci di spesa), di una prevenzione dei guasti e una minore probabilità di rischio durante le attività di manutenzione.
In altre parole, la digitalizzazione degli asset crea scenari evoluti, senza limiti strutturali. Si pensi a una rete elettrica o idrica, a una fabbrica manifatturiera o ai grandi stabilimenti industriali: tutti hanno la possibilità di abbracciare, con le dovute specificità, tecnologie di manutenzione predittiva, che già dal primo momento mostrano le potenzialità dell’interconnessione tra IoT, analisi dei dati, sensoristica, gestionali e tool professionali in locale e sul cloud. La chiave di volta è la versatilità, che spinge sempre più attori a puntare sulla predictive maintenance come area cardine della digital transformation. Secondo una ricerca del , tramite i connected assets un plant manifatturiero può raggiungere notevoli benefici tra cui: dal 10% al 40% di riduzione dei costi di manutenzione ed equipment, fino al 50% di minore downtime, dal 3% al 5% di taglio nell’investimento di capitale, grazie al miglior ciclo di vita dei singoli asset.
È la “manutenzione connessa” che, grazie a costi più accessibili della tecnologia (sensori, processori, infrastrutture wireless) rende le organizzazioni proattive, dal punto di vista della manutenzione. Sembra un concetto banale ma lo switch tra “reattività” e “proattività” è ciò che, di fatto, permette di ottimizzare gli interventi e di conseguenza riallocare in maniera più intelligente il budget. In un periodo di ripresa economica, i connected assets si dimostrano soluzioni necessarie, capaci di fornire a chi li adotta un vantaggio competitivo di assoluto valore.
Giacomo Coppi
Sales Team Leader – Digital Supply Chain powered by SAP Leonardo