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L’arte del coinvolgimento, intervista a Fabio Viola

Intervista a Fabio Viola, autore, insieme a Vincenzo Idone Cassone, del libro uscito a Marzo 2017 “L’arte del coinvolgimento”, edito da Hoepli.

Fabio è il vincitore del premio Lezioni di Design 2017, stabilmente tra i TOP 10 gamification designer al mondo.

Il libro racconta in modo scorrevole e interessante quello che viene considerato il “motore del XXI secolo”, ossia il coinvolgimento (engagement), fornendo analisi, esempi concreti e spunti di riflessione.

 

Come mai un libro sul coinvolgimento?

Avevo una sorta di ossessione nel voler capire perché le persone entrassero così in sintonia speciale con alcuni oggetti, esperienze e persone piuttosto che con altri. Insieme a Vincenzo abbiamo condotto numerose interviste, sia on line che dal vivo, chiedendo alle persone cosa sia il coinvolgimento, come si crea, se e come si esaurisce. Abbiamo trovato parecchie ricorrenze, che abbiamo riassunto e comunicato nel libro. Il risultato è un’analisi della trasformazione della società avvenuta negli ultimi 20 anni, in cui si è passati dal dover fare le cose a fare le cose (e meglio) perché si è coinvolti. Il libro spazia con diversi esempi i vari ambiti, alcuni dei quali decisamente sorprendenti (n.d.r).

Comunicare, partecipare non bastano più?

Esatto, non bastano più. Il salto generazionale tra me e mio nonno, ad esempio, è decisamente molto più ampio rispetto a quello tra mio nonno e il suo bisnonno. La massa è passata da essere considerata un qualcosa di indistinto ad un insieme di individui, ognuno con i propri desideri, collegati gli uni gli altri in una rete ad alto valore aggiunto. Bisogna progettare il mondo avendo in mente il passaggio da standardizzazione a personalizzazione delle esperienze.

Nel libro viene spesso citato il mondo dei videogiochi. Qual è il ruolo della tecnologia nel coinvolgimento?

In realtà è minimale. Abbiamo appurato che i driver che portano al coinvolgimento, quali l’interazione, l’ergonomicità e i ricordi, sono avulsi dalla tecnologia. Il mondo dei videogiochi è il comparto industriale che per primo ha capito i valori di ritorno economici del coinvolgimento, mettendolo in primo piano a partire attività di design. Da qui i tanti esempi nel libro.

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La parola Gamification viene utilizzata solo una volta nel libro, eppure i suoi principi vengono richiamati spesso. Come mai?

Abbiamo voluto di proposito dare un respiro più ampio al tema. La gamification è uno degli strumenti con cui è possibile creare engagement.

Cosa si sta muovendo nel mondo? E in Italia?

Sono già diverse le aziende, soprattutto anglosassoni, che assumono “Engagement Director”, ossia una figura con un ruolo trasversale a tutta l’organizzazione aziendale che collabora con tutti i dipartimenti, inserendosi nei processi per validare la presenza di questa modalità, sia dal punto di vista culturale che tecnico. Ad oggi non esiste un percorso formativo specifico, il ruolo richiede una competenza in ambito di design, scienze comportamentali e psicologia.

In Italia c’è tanto da fare a livello macro, siamo ai livelli di alfabetizzazione. Se nel mondo le aziende hanno già iniziato a riformulare la propria logica di gestione nell’ottica di “mettersi in gioco”, cedendo un po’ del proprio potere e definendo nuovi indicatori per il coinvolgimento, in Italia non esiste ancora un approccio sistemico. Tutti i manager intervistati a cui abbiamo chiesto di definire l’engagement e dirci come lo utilizzano ci hanno dato risposte differenti.

La parola chiave in inglese è Engagement, in italiano l’avete tradotta con “coinvolgimento”. Come mai?

Abbiamo voluto usare il termine in italiano in quanto ci risulta più rappresentativo e completo di quello inglese. Qualcuno utilizza il termine “ingaggio”, secondo noi limitante in quanto riporta ad una matrice militare, mentre il coinvolgimento rimanda a qualcosa che avvolge (non a caso in inglese il primo significato di engagement è “fidanzamento”).

 

Emanuela Corazziari